di Francesca Persici
L’inizio del medioevo viene fissato, convenzionalmente, nel 476 d.c., quando venne deposto l’ultimo imperatore dell’Impero Romano d’occidente, Romolo Augustolo. I popoli germanici invasori, oltre a frantumare definitivamente l’unità dell’impero d’occidente (perché quello d’oriente rimarrà in vita fino al XV secolo), introdussero anche costumi, leggi, mentalità e apporti linguistici, destinati a mutare profondamente le strutture preesistenti.
Uno dei fenomi che maggiormente caratterizzeranno questo lungo periodo storico è sicuramente il feudalesimo, il feudo era una concessione terriera che l’imperatore, come ad esempio Carlo Magno (incoronato nel Natale dell’800), concedeva ai sudditi aristocratici, sia per garantirsi la loro fedeltà, sia per meglio amministrare il suo vasto dominio. Questi domini feudali verranno poi in seguito trasmessi alle generazioni future tramite eredità, ma il dato più interessante è dato dalla presenza di due elementi: un debole potere centrale, contrastato da quelle miriadi di realtà locali, in cui i signori divengono dei veri e propri sovrani, favorendo la sottoassegnazione di territori ad altri minori, su cui poi lucrare (vassalli, valvassori, valvassini) e la nascita di una società chiusa in un mondo ristretto, ma che contiene al suo interno tutta l’universalità del mondo medioevale.
La società feudale è quindi caratterizzata da una gerarchia statica, basata su caste chiuse. Queste sono divise in tre ordini: quelle dei guerrieri (bellatores), quella dei monaci (oratores) e quella dei contadini (laboratores). I loro compiti sono chiari e definiti: combattere, pregare e coltivare la terra.
La rigidità di questa tripartizione è collegata ad una concezione generalmente condivisa da tutti e cioè che sia stato Dio stesso a volere una gerarchizzazione di questo tipo, in quanto si ritiene che questa struttura trinitaria corrisponda alla Trinità di Dio, quindi la società terrena è vista come un riflesso di quella celeste e in quanto tale assume un carattere sacrale, per cui immutabile.
Adalberone, vescovo di Laon, prese parte alle vicende politiche e religiose del suo tempo, diffondendo l’idea della conservazione dell’ordine sociale. Nella sua opera più significativa, la Carmen ad Robertum regem (Poesia per il re Roberto), poemetto scritto in latino nel 1025 in 434 esametri in forma di dialogo, si rivolge al re di Francia per ribadire le sue posizioni sull’ordine sociale.
«Così come creati, uguali son tutti gli uomini.
E unica è la casa di Dio, sotto un’unica Legge;
e una sola è la fede. Eppure triplice è l’ordine degli
uomini.»
(tratto da Carmen
ad Robertum regem versi da 1 a 4)
Se inizialmente Adalberone sostiene l’uguaglianza di tutti gli uomini, secondo i principi cristiani, subito dopo però accetta la diversità delle condizioni sociali, arrivando a quella tripartizione della società che ci riporta al dogma della Trinità.
Quella trinitaria è un’immagine ricorrente nella cultura medioevale, a partire da Sant’Agostino, filosofo autore del De Trinitate. Ma la figura del pensatore e teologo non si riduceva solo a questo. In un clima di visione statica del reale fa ingresso un’altra realtà tipicamente medioevale: l’enciclopedismo. Questo particolare fenomeno prevedeva sia una visione totale della realtà, sia un convergere di tutto il sapere nella Teologia (la scienza di Dio). Quindi l’erudito è colui che ha una formazione generale e non specifica. Un esempio in letteratura è dato dalla Divina Commedia di Dante Alighieri (1265-1321) che tra le altre cose, assume anche il valore di un’opera enciclopedica e nella quale è espresso un concetto fondamentale: il sapere è stato dato all’uomo da Dio una volta per tutte, quindi cercare di andare oltre questa conoscenza, volendo fare perno sulle capacità umane è considerato un peccato di superbia e in quanto tale punito. A tale proposito esemplare può essere l’episodio di Ulisse raccontato da Dante nell’Inferno:
«Considerate la vostra semenza:
fatte non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute a conoscenza.
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
cha a pena poscia li averi ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
dei remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.»
(Canto
XXVI versi 118/126)
All’interno di questo specifico ambito si sviluppa un elemento che caratterizza la mentalità e la cultura medioevali: l’allegorismo, cioè una visione della realtà eminentemente simbolica e utilizzata dagli eruditi del tempo in ogni campo dell’arte e della filosofia con lo scopo di un intento moraleggiante e quindi educativo sulle masse.
Nell’ambito della produzione letteraria è di particolare interesse sottolineare l’opera Expositio vergilianae continentiae, di Fulgenzio (V secolo), la quale contiene un’interpretazione dell’Eneide di Virgilio come prefigurazione della rivelazione cristiana, ossia si legge il testo virgiliano come se fosse un passo delle sacre scritture, per ricavarne precetti morali.
Il medioevo non rinuncerà mai al fantastico come ordine di idee nate dall’incontro di due culture diverse, la classica greco/latina e quella cristiana, le quali hanno a lungo nutrito la sua immaginazione.
E’ nel periodo del medioevo gotico che assistiamo alla rinascita dei cicli dell’inferno, delle creature deformi, degli esseri favolosi che si moltiplicano nei Bestiari, nei margini dei manoscritti (è doveroso qui ricordare il grande e fondamentale lavoro degli amanuensi) o nella decorazione scultorea, e il loro reintegrarsi in una realtà fittizia all’interno del mondo vivente.
Il primo tentativo di creare un sistema unitario, che facesse riferimento alla scienza di Dio fu quello della Scolastica, affermatasi tra il XII e il XIII secolo nelle grandi università come Parigi e il cui scopo era quello di trovare un punto di coesione tra fede e filosofia. Basandosi sulla filosofia di Aristotele, diffusa grazie ai commenti dei filosofi arabi Avicenna e Averroé , il domenicano Tommaso D’Aquino (1225/1274) ne divenne il caposcuola. Tra il 1267 e il 1273 espose il suo pensiero nell’opera Summa Teologia (Compendio Teologico), che finì per prevalere come base ufficiale dell’insegnamento della chiesa.
«La scienza ha per oggetto la verità, quindi,
dopo aver considerato la scienza di Dio, tratteremo della verità.»
(tratto dalla Summa Teologia)
Questo tipo di sapere enciclopedico, però, incontrò l’opposizione di un’altra corrente di pensiero, che faceva riferimento al francescano Bonaventura da Bagnoregio (1221/1274), che basandosi sul pensiero di S.Agostino e Platone, considerava la fede come un fatto primario. L’uomo doveva annullare la propria personalità, attraverso un processo di ascesi, cioè di immedesimazione e identificazione con Dio. I mistici consideravano il corpo come un veicolo di propensione al male e per questo motivo la loro politica era quella di liberarsi di quel ostacolo che avrebbe potuto impedire all’uomo il raggiungimento della salvezza eterna.
«Ora
non resta altro alla nostra mente che levarsi […]
anche
sopra se stessa, e andare al di là, a Dio […]»
(tratto
da Itinerarium mentis in Deum,
capitolo VIII)
L’ideale esaltato dal mistico francescano, consiste nella comunione diretta fra la mente dell’uomo e la natura divina. Questo atteggiamento può essere riscontrato facilmente in molte opere di carattere religioso tra cui troviamo il De contemptu mundi (Il disprezzo del mondo) di Lotario di Segni, il futuro papa Innocenzo III, che intese riaffermare l’unità della chiesa, promuovendo le crociate contro gli Albigesi (1208) e contro gli infedeli (1215).
«Adunque
che giovono le ricchezze? Che giovono le vivande? Che gli onori?
Imperò
che le ricchezze non libereranno l’uomo dalla morte;
le
vivande non lo difenderanno da’ vermini; gli onori non lo libereranno dal
puzzo.»
(tratto da De contemptu mundi)
Ma mentre il monachesimo orientale tendeva a mantenere questo totale isolamento dal mondo e la pura contemplazione, quello occidentale presupponeva oltre alla contemplazione e alla preghiera, una grande innovazione. San Benedetto da Norcia, fondatore dell’ordine benedettino e dell’abbazia di Montecassino istituì una regola il cui principio si basava su due parole chiave: pregare e lavorare, ossia «ORA ET LABORA». Nel giro di poco tempo i monasteri benedettini si diffusero in tutta Europa, divenendo dei veri centri di attività agricola e artigianale.
San Benedetto può essere considerato come il fondatore di una nuova società di cristiani, non più divisi da lotte di potere e scismi, ma uniti nella preghiera e nel lavoro, come elementi che avrebbero potuto rendere più vicini gli uomini in una società rigidamente classista.
All’interno del ciclo letterario, i generi praticati in questo periodo sono molti e in relazione con i vari centri geografici e culturali. La letteratura religiosa, in senso tecnico, non può essere considerata come genere letterario, ma piuttosto come area tematica, riscontrabile in espressioni di diverso genere come inni, laude, prediche, vite dei santi, lettere e cronache.
L’esempio più autorevole tra i vari pervenutoci è senza dubbio il Cantico di Frate Sole (Laudes creaturarum) di S. Francesco D’Assisi (1182-1226), considerato da tutti gli studiosi come il primo testo della letteratura italiana. San Francesco, nonostante sia un uomo di cultura, utilizza il volgare. La scelta di questo tipo di linguaggio si basa sulla necessità di dare al fedele una preghiera, che potesse sentire come sua fino in fondo, e per fare questo era necessario che il testo fosse comprensibile a tutti. E’ quindi prima di tutto un’esigenza di senso pratico.
«Altissimu,
onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad
Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato
sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato
si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato
si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato
si', mi Signore, per sor'Acqua.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato
si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato
si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.
Laudato
si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infrmitate et tribulatione.
Beati
quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato
s' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate
et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate».
(Cantico delle Creature di San Francesco)
Ma nell’ambiente monastico non c’è solo il tempo della preghiera e della lode. Le visioni costituiscono una specie particolarmente numerosa di racconti di viaggi nell’aldilà.
La loro origine va ricercata in tre diversi tipi di tradizione: quella antica, che va dal racconto di un giudizio di un eroe egiziano da parte del re degli inferi Nergal, ai viaggi infernali di eroi assiro -babilonesi, fino all’Eneide di Virgilio. C’è poi la tradizione apocalittica giudaica -cristiana (II - III secolo d.c.) e infine troviamo la tradizione celtica e in modo particolare quella irlandese (Il pozzo di San Patrizio, il Viaggio di Bran e la Navigazione di San Brindano).
La natura e le attività dell’oltre tomba oscillano, nel folclore come nei testi, alternandosi fra la visione di un mondo di felicità e uno di angosce e prove difficili.
Questa produzione, però rivela anche una forte presenza femminile, ribaltando quella condizione dominante nel medioevo in cui la donna era vista come la tentatrice, lo strumento di Satana, ma esisteva anche un’altra realtà, che ha lottato disperatamente per emergere.
Il monastero femminile diviene quindi il segno tangibile della presenza della donna nella vita religiosa. Nel secolo XIII mutò nel mondo femminile il valore dato alle cose, grazie anche all’azione di Santa Chiara D’Assisi, che permetterà alle monache di ottenere la realizzazione del privilegium paupertatis. Si afferma così, in maniera ancora più netta, il valore della povertà, a cui le monache come Santa Caterina da Siena aspiravano, per poter ottemperare a quel ideale di immedesimazione con Cristo.
La situazione femminile è quindi duplice, da una parte abbiamo la realtà monacale, mentre dall’altra c’è la fisicità del peccato carnale, che restringe l’etica sessuale in un vortice di divieti e sanzioni. Alcuni esponenti della chiesa, in modo particolare i monaci irlandesi sostenitori dell’ascetismo, redigono i penitenziali. Erede di tutto ciò è un testo di Burcardo di Worms (canonista dell’XI secolo) scrisse a proposito dell’ “abuso del matrimonio”. Il peccato carnale assume ora un’identità specifica: la LUSSURIA, uno dei sette peccati capitali.
(La
Benedizione di Santa Chiara D’Assisi)
«Nel nome
del Padre del Figlio
e dello Spirito Santo.
Il Signore vi
benedica
e vi custodisca.
Vi mostri la
sua faccia
e abbia misericordia di voi.
Volga verso
di voi il suo volto
e vi dia pace,
sorelle e figlie mie, e a tutte le altre che verranno e rimarranno nella vostra
comunità, e alle altre ancora, tanto presenti che venture, che persevereranno
fino alla fine negli altri monasteri delle povere dame.
Io Chiara,
ancella di Cristo, pianticella del beatissimo padre nostro san Francesco,
sorella e madre vostra e delle altre sorelle povere, benché indegna, prego il
Signore nostro Gesù Cristo, per la sua misericordia e per l'intercessione della
santissima sua genitrice, santa Maria, e del beato Michele arcangelo e di tutti
i santi angeli di Dio, del beato Francesco padre nostro e di tutti i santi e le
sante, che lo stesso Padre celeste vi dia e vi confermi questa santissima
benedizione sua in cielo e in terra: in terra, moltiplicandovi nella grazia e
nelle sue virtù fra i servi e le ancelle sue nella Chiesa sua militante; e in
cielo, esaltandovi e glorificandovi nella Chiesa trionfante fra i santi e le
sante sue.
Vi
benedico nella mia vita e dopo la mia morte, come posso, con tutte le
benedizioni, con le quali il Padre delle misericordie ha benedetto e benedirà i
suoi figli e le sue figlie in cielo e sulla terra, e con le quali il padre e la
madre spirituale ha benedetto e benedirà i figli suoi e le figlie spirituali.
Amen.
Siate sempre
amanti delle anime vostre e di tutte le vostre sorelle, e siate sempre sollecite
nell'osservare quelle cose che avete promesso al Signore.
Il Signore
sia sempre con voi e voglia il Cielo che voi siate sempre con lui.
Amen».
Letture consigliate:
Le Goff, “L’immaginario medioevale”, Edizione Laterza 1998, Roma/Bari.
Edith Pasztor, “Donne e Sante, studi sulla religiosità femminile nel Medioevo”, Edizioni Studium, Roma 2000.