IL LATO OSCURO DELLO SPIRITO MEDIEVALE:
Il demonio tra ragione e fede
di Renzo Lavatori
Dopo quello sugli angeli, questo è il secondo intervento di don Renzo Lavatori. La trattazione di un tema così difficile, ed anche angoscioso per certi versi, è invece fatta da don Renzo in maniera molto equilibrata e serena. Quindi il prof. Lavatori ci guiderà in una breve sintesi sulla visione che ebbero gli uomini medievali sui demoni e sull'origine del male, senza pesantezze, ma con stile sintetico, per conoscere un tema che comunque appassiona l'uomo di ogni tempo. Perché esiste il male? E' il risultato della lotta per la sopravvivenza oppure è entrato nel mondo per una scelta personale? Qual'è la sua origine? Dipende dall'uomo? oppure da chi o da cosa? I medievali sentivano che solo riflettendo sulla natura del male potevano sconfiggerlo. Per evitare il male, secondo loro non c'è che un modo, conoscerne l'origine, secondo la celebre espressione pubblicitaria: se lo conosci, lo eviti.
La
riflessione medievale sull’origine del male
1.
LA DEMONOLOGIA POPOLARE E CULTURALE
Gli
scrittori dell’alto medioevo, sulla scia della tradizione precedente, sono
generalmente concordi nel sostenere che, dopo il peccato originale, 1’umanità
è rimasta imprigionata nel potere di Satana. Da questa concezione dipende la
teoria dei «diritti di Satana» gia presente e discussa dai padri. ma che in
questo periodo assume una più vasta portata. I diritti del diavolo tuttavia non
costituiscono un potere assoluto. poiché essi sono sottoposti all’autorità
di Dio e sono stati sciolti con 1’opera di Cristo. Più diffusa appare la
demonologia che vive e si esprime tra il popolo, ove la paura del diavolo e
dell’inferno costituisce la nota caratteristica e si descrivono in forma
alquanto fantasiosa gli attacchi di Satana soprattutto verso i monaci e le
persone virtuose. Molto spazio e dato anche alla pratica della superstizione,
della magia, della stregoneria. Contro queste esagerazioni reagiscono i pastori
e i predicatori, cercando di educare i fedeli a un più sano concetto circa i
fenomeni diabolici. Essi stessi tuttavia non sono totalmente esenti da certi
condizionamenti di emotività e fantasia. Un altro fenomeno di questo periodo,
che testimonia la diffusa presenza demoniaca tra il popolo, è’ dato dalle «vite
dei santi». Vi appaiono numerosi episodi di attacchi satanici e di lotte, allo
scopo d’invitare i fedeli di tutte le estrazioni sociali, laici, chierici e
monaci, contadini e feudatari, a un severo impegno di opposizione e di
superamento del male.
1.1.
Agiografia e demonologia
Un
esempio autorevole. che, sebbene risalga all’XI secolo, rappresenta in qualche
modo 1’espressione di una mentalità diffusa e ne costituisce come un
paradigma, e la Vita S. Romualdi di Pier Damiani (1007-1072), priore dell’eremo
camaldolese di Fonte Avellana e audace riformatore della vita monastica ed
ecclesiastica del suo tempo. Egli riassume in un capitolo tutta la lotta che
Romualdo ha dovuto affrontare contro il diavolo. Soprattutto all’inizio della
conversione, il nemico trascinava la mente del santo tra le lusinghe e gli
incentivi a molti vizi, riportandogli alla memoria quali e quante cose avrebbe
potuto attuare nel mondo, mentre quello che ora stava facendo era di poco o
nessun valore. Spesso bussava alla sua cella, quando stava per prendere sonno,
e, agitandolo, lo teneva sveglio per tutta la notte. Per circa cinque anni, di
notte tempo, il diavolo si posava sui suoi piedi e sulle gambe e, perché non
potesse girarsi facilmente da una parte o dall’altra, lo aggravava di fantasmi
e di immagini. Ma Romualdo e sempre riuscito a mettere in fuga il diavolo, con
durissimi rimproveri, come esplicitamente e riportato: «Dove sei diretto ora, o
turpissimo? Perché vieni nell’eremo tu che sei precipitato dal cielo?
Vattene, cane immondo; sparisci, serpente rintontito»
(Vita S. Romualdi 7). La medesima impostazione agiografica perdura in tutto
il medioevo. anche nel XIII secolo, come dimostra la testimonianza di
Pietro il Venerabile, abate del monastero di Cluny dal 1222 al 1256. Nella
sua opera De miraculis descrive in
modo vivace e particolareggiato alcune situazioni di persone, sia laici sia
monaci, a contatto col diavolo. Si tratta di visioni mostruose, di attacchi
violenti, di figure animalesche e di rumori assordanti, di fetori
insopportabili, di diatribe e scontri col demonio, che alle volte si traveste da
monaco o abate o pio novizio con 1’intento d’ingannare. Pietro precisa nomi,
luoghi, tempo di ciò che racconta come realmente accaduto. Anche nell’ambito
artistico, figurativo e letterario, il diavolo e rappresentato in modo
drammatico.
L’arte
altomedievale faceva
poca distinzione tra diavolo e demoni; anche l’inferno era a volte raffigurato
come un personaggio simile al diavolo. . Dice B. Russell: «I vari tipi non sono
definiti chiaramente e molti diavoli sono un po’ umanoidi e un po’ animali.
Il diavolo umanoide poteva essere un vecchio vestito da una lunga casacca, con
una coda corta, le gambe lisce e muscolose, capelli e volto umani; oppure un
uomo grande e grosso, nudo, scuro di pelle. con mani di uomo ma con artigli ai
piedi e coda: oppure un gigante con fattezze umane; oppure ancora un angelo
umanoide vestito di bianco. con ali piumate e capelli lunghi sulle spalle. Di
rado il diavolo aveva forme femminili»
(Il diavolo nel medioevo, Bari 1987, 96). ). La produzione letteraria più vicina alla teologia ma sempre molto
sensibile alla religione popolare e al folklore, ha accentuato 1’aspetto
passionale della rivolta e del destino di Lucifero, con riferimento anche ai
testi biblici e spesso a quelli apocrifi. Ciò e accaduto soprattutto
nell’area anglosassone, dove in letteratura si usava la lingua volgare. Ci
sono dei poemi che descrivono le storie dei santi e delle sante in cui
interviene ripetutamente 1’azione di Satana; altre volte si riprende il
racconto della Genesi, dove si sottolinea l’opera seduttrice del diavolo nei
confronti di Adamo ed Eva; nel poema
Christ and Satan e descritto il contrasto fra il Salvatore umile e
vittorioso e il diavolo disperato e destinato alla condanna. Un aspetto della
mentalità popolare e dato anche dalla
predicazione fatta ai fedeli durante le funzioni religiose. Un elemento
assai importante ne]la struttura della predica – secondo quanto risulta dai
testi del XIII secolo, ma verosimilmente anche nei secoli precedenti – stava
negli exempla, brevi aneddoti incisivi, intesi a rendere vivace il
discorso e attento l’uditorio, in modo da colpire le anime. Essi potevano
essere attinti o dalla letteratura, in particolare quella agiografica, o dalla
viva fantasia del predicatore o anche dalle situazioni reali. Infatti gli
exempla descrivono plasticamente gli aspetti svariati che formavano la vita
del proprio tempo e si svolgevano nei luoghi comuni, come il monastero,
la chiesa, il castello del
feudatario, la casa di campagna o di città, la strada o il bosco.
1.3.
Le rappresentazioni sulla scena
Nell’alto
medioevo, ma poi soprattutto nel secolo XIII, e ancora maggiormente nei secoli
XIV e XV,
ebbe una vasta diffusione quella particolare espressione della vita cristiana
che sono le «sacre rappresentazioni». Tali rappresentazioni hanno avuto la
loro origine dalla liturgia ed erano all’inizio in latino, ma poi sono state
espresse in lingua volgare più accessibile al grande pubblico non colto.
Generalmente il dramma medievale e distinto in tre generi: i «misteri». legati
alle feste liturgiche dell’anno: i «miracoli». sorti verso il XII secolo,
riferiti alla vite dei santi. Infine le «moralità», testi fioriti più tardi
alla fine del XV e all’inizio del XVI secolo, descrivono la lotta tra il bene
e il male nella vita di ogni uomo a scopo eminentemente omiletico e
penitenziale. Pur essendo diversi. tutti tre i generi teatrali vogliono
raccontare la storia della salvezza e del peccato nei suoi momenti principali:
la creazione e la caduta di Lucifero e di Adamo; la redenzione di Cristo e la
sconfitta di Satana: l’escatologia e il giudizio universale.
In tale contesto il diavolo è molto presente e la sua figura assume un ruolo rilevante, per la lotta contro Dio e contro l’uomo, diffondendo drammaticità e terrore sulle scene, poiché la sua presenza è indice del male, della tentazione, del castigo eterno. ma insieme apre l’anima alla speranza, poiché Satana in ultimo è definitivamente sconfitto, causando tra l’altro ilarità, in quanto la sua persona spesso e rappresentata in modo goffo e ridicolo, in atteggiamenti stupidi e burleschi. Gli aspetti più significativi, espressi ovviamente in un genere letterario antropomorfico e figurativo, sono dati dalla descrizione dell’atteggiamento di Lucifero nei confronti di Dio: egli è una creatura, la più bella fra gli angeli, piena di splendore e di luce, simile alla gloria divina, ma, proprio in ragione della sua bellezza, vuole mettersi sul trono di Dio per possedere la medesima sua potenza e gloria. Gli angeli pusillanimi accettano la superiorità di Lucifero, riconoscendolo loro capo, mentre gli angeli buoni si rifiutano di farlo e restano inorriditi della sua presunzione. Ai peccato succede il castigo che condanna Satana e i suoi seguaci nell’inferno, dove essi piangono il loro destino, sentono una profonda invidia per l’uomo, capolavoro della creazione, e vogliono vendicarsi su di lui, anche per il motivo che il Figlio di Dio ha deciso d’incarnarsi. Un altro aspetto notevole, collegato chiaramente con la letteratura apocrifa, e indicato dal rapporto di Satana con Cristo, poiché Lucifero non riesce a riconoscere il Figlio di Dio in Gesù di Nazaret, gia dall’annunciazione. Per questo cerca di tentare Cristo, in modo da avere una chiara dimostrazione sul suo essere divino; ugualmente i demoni seguono il Messia per tutto il periodo della sua vita pubblica al fine di scoprire il suo mistero, ma non vi riescono, anche se si rendono conto del suo potere di guarire i malati, di risuscitare i morti e di salvare l’uomo dalla schiavitù satanica. Alla fine i demoni decidono di uccidere il Cristo, sebbene Lucifero sia di parere contrario. In effetti la morte in croce di Cristo segna la loro disfatta totale, quando Gesù discende negli inferi. Quest’ultima costituisce la scena drammaticamente più sviluppata.
2.
LA DEMONOLOGIA BIZANTINA
In
oriente, particolarmente a Costantinopoli, si conosce nell’epoca altomedievale
un’abbondante fioritura della demonologia popolare, la quale attinge
certamente alla teologia e soprattutto alla vita dei monaci e dei santi, ma si
colora anche di magia e di pratiche religiose paganeggianti. I demoni erano
descritti sotto aspetti vari, potevano assumere forme umane o di animali o di
mostri; general-mente avevano la pelle di colore nero in collegamento con le
tenebre; portavano spesso corna e coda. . Il loro scopo e sempre quello di
corrompere 1’uomo e portarlo lontano da Dio. Per fronteggiare l’azione di
Satana sono suggeriti gli strumenti classici come la preghiera e il ricorso
all’aiuto di una persona santa con il potere esorcizzante. Questi diversi
aspetti sono sfociati, più tardi, negli scritti di
Michele Psello (1018-1078), consigliere presso la corte di Costantinopoli e
riformatore degli studi universitari umanistici e filosofici di quella città.
Il suo pensiero e di tendenza neoplatonica e fu conosciuto anche in occidente,
soprattutto nel rinascimento, per mezzo dell’influsso che ebbe su Marsilio
Ficino. Egli ha scritto un opuscolo De
Daemonum energia seu operatione, in cui descrive un dialogo fra due
personaggi, Timoteo e Thrax. per chiarire alcune questioni demonologiche, sorte
in occasione di eresie.
2.1.
I riti demoniaci
Michele
Psello combatte alcune eresie demoniache, che non rappresentano soltanto errori
a livello teorico o dottrinale, ma esprimono anche atteggiamenti pratici, riti
idolatrici e blasfemi. Sono descritti
alcuni riti svolti dagli eretici nelle loro riunioni sacrileghe, ove dicono
di avere visioni divine, ma che in realtà sono manifestazioni esecrabili e
nefande, contro ogni dogma legittimo e contro ogni legge naturale. Ciò facendo,
essi soddisfano grandemente i demoni, poiché vanno contro la legge divina e
contraffanno i simboli cristiani, impressi nell’animo, in modo da sconsacrarli
e de-turparli, cosi da far posto ai demoni e ai loro simboli inverecondi.
2.2.
Il numero dei demoni
Michele
Psello sostiene che i demoni sono esseri corporei e agenti sui corpi. I corpi
dei demoni si distinguono grandemente dai corpi angelici. Questi sono ricolmi di
luce e splendore, mentre quelli sono tenebrosi e oscuri. Il numero dei demoni è
grandissimo tanto che tutta 1’atmosfera ne è piena, non solo l’aria a noi
sovrastante, ma anche quella che ci attornia; piena ne e la terra, il mare e i
luoghi sotterranei penetrabili. Tutti hanno in comune l’odio verso Dio e
l’avversità per gli uomini.
2.3.
Le azioni dei demoni
Le tentazioni sono gli atti più frequenti dei demoni, che suggeriscono alla fantasia parole e sussurri insidiosi; assumono figure e colori e forme diverse per infondere nella psiche e nello spirito umano pensieri, consigli, ricordi, eccitando gli affetti sia durante il sonno sia nella veglia. Alle volte sollecitano e muovono piacevolmente il corpo, infiammandolo di amori illeciti. Altre tentazioni sono insulse, poiché i demoni sono privi di sapienza, tuttavia costituiscono sempre motivo di molestia e fastidio, provocando danni considerevoli sia al1’anima che al corpo. Michele presenta due casi di indemoniati da lui stesso sperimentati, per porre poi alcuni quesiti. II primo interrogativo concerne il sesso dei demoni, se essi cioè siano maschi o femmine; risponde che i demoni, per loro natura, non hanno il genere maschile né femminile, perché la diversità dei sessi costituisce una caratteristica propria dei corpi composti, mentre i demoni possiedono corpi semplici. In forza di tali corpi essi possono muoversi facilmente e assumere figure varie. La seconda questione riguarda il linguaggio dei demoni: ci si chiede se essi parlino lingue diverse secondo le persone con cui trat- tano, siano esse greche o ebraiche o siriache. La terza, infine, consiste nell’approfondimento della passibilità dei demoni, cioè se essi possano subire minacce e paure in modo da lasciare libere le creature umane da essi tormentate. La risposta e chiara: essi possono essere vinti solo da colui che possiede la santità e fa uso del nome potente del Verbo di Dio. Allora sono costretti a lasciare libero 1’uomo e vengono relegati negli abissi della terra, cosa che essi temono grandemente.
3.
L’APPROFONDIMENTO RAZIONALE
Nei
secoli XI e XII nasce la teologia
5colastica, anche se la sua massima fioritura sarà nel XlII secolo. La
caratteristica e novità stanno nell’esigenza di approfondire razionalmente il
dato della fede (fides quaerens inrellectum). Anche nella demonologia si assiste al
passaggio, ormai sempre più definito, da una spiegazione semplicemente
ripetitiva ed espositiva verso un’impostazione propriamente speculativa e
organicamente strutturata, soprattutto con la comparsa di menti altamente
speculative come Anselmo. Con lui la demonologia ha subito una svolta
decisiva che segna 1’inizio della grande riflessione medievale.
Nell’economia salvifica il ruolo di Satana, pur sempre tenuto presente, è
stato notevolmente ridotto grazie alla concezione anselmiana della «soddisfazione»
operata da Cristo per la salvezza dell’uomo; dal punto di vista antropologico
la presenza di Satana ha avuto un rilievo minore poi- ché il peccato e stato
attribuito alla responsabilità umana più che ai condizionamenti o alle
insinuazioni diaboliche. A Satana perciò non e stato dato un posto preminente.
Questa considerazione e importante per un equo giudizio sulla demonologia di
questo periodo, perché non sia vittima di equivoci o di comuni malintesi,
secondo cui il medioevo registrerebbe il massimo della produzione demonologica e
della conseguente esagerazione ideologica.
3.1.
La questione del male in Anselmo d’Aosta
Anselmo,
dal 1093 al 1109 arcivescovo di Canterbury, ha scritto un trattato filosofico in
forma di dialogo: De casu diaboli, la
caduta del diavolo. Il suo ragionamento prende l’avvio dalla domanda intorno
alla realtà del male e alla sua origine; fissa l’attenzione sulla caduta del
diavolo, piuttosto che su quella di Adamo, perché essa la precede sia dal punto
di vista temporale sia da quello razionale. II peccato di Adamo infatti ha luogo con la tentazione del serpente, a indicare che il male gia esiste
nel mondo e non ha origine primaria nell’uomo. Dunque porsi la questione in
che modo Lucifero abbia peccato, vuol dire cercare la ragione per cui il male e
entrato originariamente nel mondo e conoscere cosi la natura propria del male.
All’essere assoluto divino infatti non si può attribuire la causa del male,
poiché egli e il sommo bene. Anselmo riprende il concetto agostiniano che il
male è nulla, cioè non essere o privazione del bene. Noi consideriamo il male
in senso relativo, come fosse qualcosa di reale, poiché ci rendiamo conto che
esso e la mancanza di una realtà buona. La carenza di giustizia comporta
inquietudine, agitazione, che riteniamo cose cattive quasi fossero entità
positive; ugualmente 1’assenza della vista la chiamiamo cecità come fosse una
cosa reale. Per tale ragione il male implica una qualche significazione. ma esso
non è un ente reale; è solo un modo espressivo del linguaggio umano. Inoltre
il male, benché sia un nulla in sé, produce conseguenze ed effetti reali, che
si riscontrano nell’esperienza concreta e che ci incutono terrore. Per Anselmo
il male è il risultato di una scelta operata dal diavolo, senza doverne
attribuire la responsabilità a Dio. Da qui il suo studio sul peccato di Satana.
Il suo peccato consiste non solo nel voler essere simile a Dio, ma anche nella
pretesa di essere superiore a Dio, per poter disporre della propria volontà in
modo as-soluto. contro la volontà stessa di Dio. In altre parole Lucifero ha
posto la propria volontà al di sopra di tutto, anche di quella di Dio, non
volendo essere sottomesso a nessun altro che a se stesso. Perciò egli è andato
fuori della giustizia e ha peccato. Da ciò consegue che egli spontaneamente ha
rinunciato a volere quello che doveva e giustamente ha perso quello che aveva.
Infatti Dio crea una vera facoltà libera negli uomini e negli angeli, i quali
sono realmente responsabili e consapevoli di quello che compiono. Ciò
costituisce la loro dignità, ma anche la possibilità di venir meno alla verità
e al bene e quindi di produrre il peccato e il male nell’universo. La
demonologia di Anselmo affonda le radici negli aspetti basilari, filosofici e
teologici, che possono far luce sulla questione del male nell’universo. Il suo
intento, e qui si comprendono 1’originalità e 1’acume del suo pensiero, e
quello di riportare la demonologia verso le questioni essenziali che contiene e
manifesta; egli offre cosi un contributo notevole, affinché essa non scivoli in
concezioni banali o superficiali, ma sia motivo di seria riflessione sui
problemi più scottanti e reali dell’umana esistenza, come quello del male e
della libertà.
3.2.
La posizione di Pietro Abelardo
Uomo
acuto e razionalista, Abelardo (1079-1142) parla poco del diavolo. Ne sottolinea solo
alcuni aspetti che si allontanano dal comune modo di pensare e che offrono
spunti d’interessante riflessione sulla determinazione del male e le questioni
a esso connesse. Abelardo constata che i nostri vizi o peccati, da considerarsi
cose cattive, devono essere collocati nell’anima o nelle creature buone, perché
la corruzione non può provenire se non dal bene. In tal senso la somma bontà
di Dio, che non permette si faccia nulla senza una causa, ha preordinato per il
bene anche le cose cattive, cosi che si può servire di esse al fine di ottenere
il massimo bene. Pertanto il male può diventare bene, ma esso non può mai
essere bene. Il diavolo con la massima cattiveria usa in modo pessimo delle cose
buone, al fine di ottenere cose cattive per mezzo di quelle buone. Al contrario
Dio si serve in modo buono di quelle cose che il diavolo provoca in modo
cattivo. Il peccato del diavolo, come poi quello dell’uomo, rientra in questa
visione ottimistica ed è stato prodotto dal libero arbitrio, di cui e dotata
ogni creatura razionale. Il diavolo agisce entro i confini della permissione
divina, ma si muove stimolato dalla propria cattiveria. Si può dire che la sua
potestà di agire è buona e giusta, mentre la sua volontà è sempre ingiusta,
poiché questa deriva da lui stesso, ma 1’altra gli è stata data da Dio. Per
Abelardo ciò significa che il peccato sta nel cattivo uso delle facoltà per sé
buone, come ripete insistentemente: «Lucifero, che sorgeva al mattino, fu
maggiormente disposto a insuperbirsi, quanto più in alto degli altri spiriti
era la sua luminosità per la sapienza e la scienza. Né tuttavia si può dire
che la sapienza o la scienza sia cattiva per sua natura, che gli è stata donata
da Dio, anche se egli insuperbendosi l’ha usata in modo cattivo»
(Theol. christ. 3,5). . Secondo Abelardo l’essenza del peccato non sta
tanto nell’azione cattiva che si compie, ma nell’intenzione di fare il male,
cioè nel movimento determinato dalla volontà verso la violazione della
giustizia divina, indipendentemente dall’azione che ne risulta. Non è
importante quindi considerare ciò che il diavolo ha fatto, quanto il moto della
sua volontà verso il male. In questo senso Abelardo, nella riflessione
sull’azione redentrice di Cristo, non accetta la dottrina che vede nella croce
il prezzo pagato a Dio per riscattare 1’uomo dai «diritti» del diavolo,
perché non è Dio ad aver bisogno di essere riconciliato con gli uomini, ma il
contrario. L’amore di Dio, manifestato in modo eminente nella morte in croce
del Figlio incarnato, costituisce la fonte rigeneratrice dell’uomo, che in
quell’amore trova la propria salvezza e la forza di rifiutare il male e di
amare Dio e i fratelli. Questa
teoria di Abelardo trova forse riscontro nella personale esperienza di amore e
di dolore che ha contraddistinto la sua vita. Essa comunque segna una svolta
determinante per l’interpretazione del dogma del peccato e della redenzione
nella teologia cristiana.
4.
LA SPIRITUALITA' MONASTICA
4.1.
Il diavolo sospeso tra cielo e terra
Bernardo
di Clairveax, morto nel 1153, e il rappresentante più qualificato della
spiritualità del XII secolo. Egli non si sofferma su questioni di tipo
speculativo, ma evidenzia marcatamente gli attacchi malefici di Satana nella
vita ascetica del monaco e suggerisce le armi per sconfiggere il nemico. Tratta
brevemente della caduta di Satana: riafferma che il suo e stato un peccato di
smisurata presunzione e di ambizione, volendo farsi simile all’Altissimo e
salire fino al cielo. Ma e stato precipitato nell’abisso che si trova sotto il
cielo o le nubi, al di sopra della terra. Come punizione del suo peccato al
diavolo è toccato in sorte di cadere dal cielo e fermarsi a metà tra cielo e
terra, in modo che non possa essere più alla medesima altezza degli angeli
buoni, né condividere la bassezza degli uomini che con la loro umiltà fanno
penitenza dei peccati. Disorientati tra 1’una e l’altra parte come
forsennati e tesi senza poter mai acquietarsi in un senso o nell’altro,
perpetuamente fuggenti da se stessi e impotenti di ritrovarsi in sé come
soggetti stabili, i demoni appaiono 1’espressione mas-sima della dispersione
dell’essere che sfocia nell’impossibilità di raccogliersi e di
autodefinirsi. Da questo luogo infelice essi muoiono di gelosia nel vedere le
innumerevoli schiere di spiriti celesti «fulgidi di divino splendore, che fanno
risuonare le divine lodi, sublimi nella gloria e abbondanti nella grazia»
(Sermoni 54,3 sul Cant. dei cantici). Ma ugualmente sono mossi d’invidia
guardando la terra, dove si trovano uomini eccelsi nella fede e nelle virtù,
salvati dall’amore misericordioso del Signore.
Grande e il potere del maligno, dato che una buona parte dell’umanità giace
sotto il suo dominio e gli spiriti del male si aggirano sulla terra in cerca di
qualcuno da divorare. In particolare Bernardo individua due direttrici su cui si
muove l’azione malvagia dei demoni: da una parte essi tentano di risalire al
cielo, accanendosi contro Dio in forza del loro orgoglio indomito; dall’altra
parte, respinti dal cielo, si tuffano costantemente sulla terra per ingannare
gli uomini. Questo movimento continuo senza sosta, porta gli spiriti del male a
muoversi giorno e notte tra il cielo e la terra.
4.2.
Il diavolo nella storia umana
La
scuola di San Vittore a Parigi rappresenta una delle espressioni più
significative dello sviluppo teologico e spirituale del secolo XII. Pur seguendo
il modo scolastico di studiare la scienza sacra, essa si oppone allo schematismo
di Pietro Lombardo e al razionalismo di Abelardo, volendo restituire alla
teologia quella dimensione vitale e sapienziale propria dei padri. Uno dei suoi
rappresentati e Ugo di San Vittore (m. 1141), soprattutto per quanto concerne la
demonologia. Egli considera il mistero del male e del diavolo all’interno
della storia salvifica, per scoprirne poi i valori teologici, antropologici e
ascetici. Con acume psicologico e spirituale prende in esame 1’azione
diabolica all’inizio della storia umana, quando il diavolo ha tentato i
progenitori. L’uomo era stato posto dalla divina provvidenza in un luogo di
delizie, quasi nel grado più alto, provvisto della ragione per conservare i
beni che aveva ricevuto dalla medesima provvidenza di Dio. Era stato anche
istruito per ricercare e ottenere tali beni per mezzo dell’obbedienza. Il
diavolo ha visto tutto questo e ha avuto invidia che 1’uomo per l’obbedienza
salisse là da dove egli era precipitato per la superbia. Da qui la causa della
tentazione. Ugo descrive accuratamente il
modo della tentazione, che comprende due elementi: mangiare il frutto
dell’albero e conoscere la scienza del bene e del male; vale a dire, la
concupiscenza della gola con il cibo e la vanagloria e 1’avarizia con la
promessa della cono-scenza divina e del possesso di essa. . Infatti le
tentazioni sono di due generi: uno esteriore, quando la suggestione proviene
dall’esterno visibilmente o invisibilmente; uno interiore. quando nasce
nell’animo dalla cattiva sollecitazione a peccare. Quest’ultima tentazione
è più difficile a vincersi, poiché si tratta di combattere contro noi stessi.
Per questa ragione il diavolo non ottiene misericordia, in quanto ha peccato
senza nessuna tentazione né esterna né interna. Mentre 1’uomo, caduto dietro
la seduzione esteriore, è soggetto al perdono da parte della grazia di Dio.
5.
LA DOTTRINA DELLA CHIESA
Con
1’inizio del XIII secolo la Chiesa e dovuta intervenire per chiarire alcune
verità di fede, in occasione della diffusione di idee a sfondo dualistico da
parte dei catari e degli albigesi, che riprende- vano le concezioni manichee e
priscillianiste. In questa circostanze il papa Innocenzo III convoco il concilio
ecumenico, tenutosi al Laterano in tre sessioni solenni, 11,20,30 novembre 1215;
vi si discussero e promulgarono alcune decreti riguardanti la questione della
Terra Santa, la riforma della Chiesa e la presa di posizione contro diverse
eresie divulgatesi in quei tempi.
5.1.
L’eresia dei catari e degli albigesi
La concezione religiosa dei catari e degli albigesi ha cominciato a diffondersi dopo la meta del XII secolo; riprendeva 1’eresia dei bogomili di Bulgaria, che a sua volta derivava dall’insegnamento dualista e gnostico dei manichei. Il movimento era caratterizzato da una organizzazione ecclesiastica rigorosa e da un dinamismo missionario che fu all’origine della sua grande diffusione. Pur procedendo da istanze morali e ascetiche, il movimento si caratterizzo dottrinalmente secondo un rigido dualismo che contrappone fra loro Dio e Satana come due principi quasi equivalenti: Dio, il creatore, che ha dato origine solo agli esseri spirituali buoni; Sa- tana, principio increato del male e creatore della materia in tutte le sue forme, pur essendo inferiore a Dio sotto 1’aspetto della potenza. Una presentazione assai precisa di tale dottrina e fatta da un cataro convertito alla Chiesa cattolica, Giovanni da Lugio, originario di Bergamo. nato verso il 1180-1200, che raccoglie le idee della setta in un testo intitolato Libro dei due principi, compendiandone il pensiero in questi termini: «Leggano dunque i sapienti e senza dubbio credano che esiste il dio cattivo, creatore e signore, che e capo e causa di tutti i sopraddetti mali; altrimenti bisognerebbe affermare necessariamente che lo stesso Dio vero, che è la luce ed è buono e santo e fonte vivo e capo di ogni dolcezza e soavità e giustizia, sia propriamente causa e principio di ogni iniquità e malizia e amarezza e ingiustizia, e da quello stesso signore provengano totalmente tutte le cose avverse e contrarie. Ma pensare questo e la cosa più vana per i sapienti» (Compendium 56). Esiste un sommo principio cattivo da cui hanno origine il male e le tenebre. Questo dio cattivo ha creato anche il maschio e la femmina e tutti i corpi visibili di questo mondo, dai quali sono nati gli altri corpi della terra. E’ negato il libero arbitrio sia degli uomini sia degli angeli, i quali non hanno il potere di diventare buoni o cattivi, ma i buoni sono e restano buoni, mentre i cattivi sono e restano cattivi. Da qui la necessità dei due principi eterni del bene e del male.Di fronte al dilagare della setta e delle sue organizzazioni, che ormai si opponevano pubblicamente alla Chiesa cattolica, compiendo una vasta opera di seduzione e confusione in mezzo al popolo cristiano, ci fu una forte reazione a mezzo di scritti e discorsi da parte di uomini eminenti e di frati anonimi. Avvennero però anche reazioni violente dei crociati e degli inquisitori, che giunsero a stragi di popolazioni intere senza alcun criterio di discernimento, convinti che dietro gli eretici agivano i demoni per devastare la Chiesa di Dio. In tal modo a poco a poco la coercizione dell’autorità temporale ed ecclesiastica sostituì la persuasione e il convincimento, appli-cando sanzioni di differente genere di gravità, come la prigione, le torture, la confisca dei beni e infine il rogo. Tale procedura provoco delle rivolte armate, contro le quali la Chiesa reagì per mezzo delle crociate. Di fatto gli eretici apparivano pericolosi anche dal punto di vista dell’unita sociale dell’impero e delle nazioni, dove si erano maggiormente installati e godevano di una vasta influenza sul popolo. Per combattere questo pericolo i papi del XIII secolo organizzarono e rafforzarono l’inquisizione, la cui espressione più vistosa si ebbe con il pontificato di Gregorio IX. E’ un capitolo non felice della storia ecclesiastica, anche se esso va inquadrato nel contesto culturale e religioso del tempo; le sue conseguenze disastrose divennero eclatanti nei periodi successivi, con la massima divulgazione nel XVI secolo.
5.2.
Il concilio Lateranense IV (1215)
Il concilio intende eliminare gli errori e chiarire la verità rivelata, patrimonio della fede cristiana, come manifesta la prima costituzione: De fide catholica, che espone la professione di fede nell’unico vero Dio e nelle tre divine Persone; in relazione ai catari e agli albigesi essa dichiara che vi è un solo e unico principio creatore di tutte le cose esistenti, senza alcuna eccezione, quelle invisibili e quelle visibili, quelle spirituali e quelle corporee; ciò contro qualsiasi interpretazione dualistica che ammetta la provenienza della realtà da un duplice principio del bene e del male. Viene poi dichiarato che gli angeli fanno parte degli enti creati da Dio e che sono anch’essi sottoposti all’azione divina che li ha pro- dotti dal non essere all’esistenza. Essi sono creature di Dio in tutti i sensi e a tutti gli effetti. Infatti 1’atto creativo riguarda sia gli angeli sia il cosmo visibile, come fa capire 1’espressione «simul ab initio temporis», nel senso che ambedue le creature sono frutto dell’azione di Dio fin dalle origini, per escludere la speculazione dei catari secondo i quali Dio creò per primi gli angeli e questi a loro volta avrebbero creato il mondo visibile. Si parla dell’uomo inteso nella sua unità concreta di anima e di corpo, e si afferma che l’essere umano integrale e stato creato da Dio. Ciò contro la dottrina albigese che considerava l’uomo come un angelo decaduto e imprigionato nella materia prodotta da Satana, oppure contro la concezione manichea e platonica del corpo umano come elemento negativo e malefico. Al contrario si evidenzia il senso positivo della realtà materiale. Un’altra importante affermazione concerne 1’originale natura buona di tutte le creature, anche del diavolo e dei demoni, i quali «sono stati creati naturalmente buoni». Il principio salvaguarda la bontà assoluta del Creatore e insieme fa luce sulla questione dell’origine del male, poiché si dice che i demoni hanno perso la loro primitiva bontà a causa «della propria iniziativa», cioè di una loro libera scelta: «sono diventati cattivi da se stessi». Il male quindi non ha la causa in Dio né nella realtà materiale, ma unicamente nella possibilità di scelta da parte di coloro che sono stati creati liberi. Si afferma esplicitamente la colpa angelica, anche se non si precisa di quale genere essa sia stata. Da questa osservazione si induce che i demoni sono esseri personali. in quanto capaci di scegliere con libertà e perciò dotati delle facoltà proprie dello spirito, che sono l’intelligenza e la volontà, le quali soltanto consentono un atto deliberato. Si viene cosi a sostenere il valore fondamentale del libero arbitrio quale patrimonio irrinunciabile degli enti spirituali e costitutivo essenziale della loro soggettività cosciente. Anche 1’uomo e responsabile del proprio peccato, tuttavia il concilio precisa che la caduta umana è stata «istigata dal diavolo», con questo non intende discolpare 1’uomo, poiché si tratta soltanto di una istigazione o suggestione, non di sostituzione alla sua libertà, ma intende indicare 1’influsso negativo che si può stabilire tra lo spirito angelico cattivo e 1’uomo. Ciò significa ancora una volta che il male non proviene dal corpo, ma dalla libera disposizione dello spirito, sia quello angelico sia quello umano, tra i quali si instaura una certa relazione. D’altra parte il concilio aveva affermato che 1’uomo, spirito e corpo, è stato creato buono da Dio, per cui egli non porta il male in se stesso. Il male ha fatto irruzione nella vita umana solo dopo il peccato. Si parla della risurrezione dei corpi reali e concreti, contro la visione spiritualistica dell’immortalità della sola anima, propria dei catari, e si afferma 1’esistenza della pena eterna per gli uomini reprobi, che avranno la medesima sorte del diavolo. Il testo indica la fede ecclesiale sulla condanna eterna spettante al diavolo, accomunata a quella umana. Per quanto breve e succinta, la dichiarazione ha un suo autorevole peso teologico, perché è stata emanata da un riconosciuto con-cilio ecumenico ed è inclusa in una professione di fede; questa si innesta nel solco dei precedenti interventi del magistero. Non si tratta pertanto di una novità dottrinale, occasionata dall’eresia dei catari, ma di una verità già contenuta nella fede ecclesiale, ora esplicitata e puntualizzata. Essa costituisce un punto fermo, facente parte ormai del comune patrimonio veritativo della comunità credente. Il concilio non ha fatto altro che rendere manifesta e approvare ufficialmente una verità da tutti riconosciuta.
6.
L’AMBIENTE FRANCESCANO
Il secolo XIII e considerato come il secolo dei frati, poiché Francesco e Domenico, pur con mezzi diversi ma complementari, iniziarono nella Chiesa una nuova forma di vita religiosa che costituì il fatto più rilevante e influente per lo sviluppo della storia cristiana. Essi sono i fondatori dei due ordini mendicanti: i francescani e i domenicani, agenti vigorosi dcl rinnovamento spirituale e di unificazione sociale tra il popolo. Gli ordini mendicanti esercitarono una duplice influenza: la prima a livello di coscienza cristiana richiamando l’ideale della sequela integrale di Cristo, l’altra nell’ambito della riflessione teologica intorno al messaggio evangelico, affinché fosse letto e annun-ciato in tutta la cristianità. I due influssi si riscontrano anche nel settore più specifico della demonologia.
Le
Fonti francescane evidenziano l’azione di Francesco contro Satana.
ritraendolo uomo forte e lottatore straordinario sia a difesa della propria
persona sia di quella degli altri.E’ rimasto
celebre il racconto ambientato nel palazzo del cardinale Leone a Roma, ove il
Santo era ospite e fu attaccato violentemente dal demonio fino ad essere «quasi
mezzo morto».. Soprattutto nei momenti di preghiera nei luoghi solitari,
Francesco «dovette subire. spesso, gli spaventosi assalti dei demoni che
venivano fisicamente a conflitto con lui, nello sforzo di stornarlo
dal1’applicarsi alla preghiera. Ma egli, munito delle armi celesti, si faceva
tanto più forte. nella virtù e tanto più fervente nella preghiera, quanto più
violento era 1’assalto dei nemici » (n. 1179). I demoni non sono altro che
strumenti nelle mani di Dio per la purificazione del1’anima; Francesco usa una
frase espressiva: «I demoni sono i castaldi di nostro Signore, ed egli stesso
li incarica di punire le nostre mancanze. E segno di grazia particolare se non
lascia nulla d’impunito nel suo servo, finché e vivo in questo mondo» (nn.
705,1648,1760). Le battaglie sembrano aumentare man mano che cresce la
perfezione del santo, divenendo più acute e tormentose, come annota il Celano:
«Crescendo in meriti san Francesco. cresceva anche il disaccordo con 1’antico
serpente» (n. 702). Tuttavia Francesco era consapevole che alla fine la
vittoria e di colui che resta fedele a Cristo, non di Satana.
Per
questo motivo egli si rimette alla volontà di Dio con grande umiltà,
sconfiggendo l’arroganza dei demoni con queste parole: «Fate pure tutto
quello che potete contro di me, o spiriti maligni e ingannatori! Voi non avete
potere se non nella misura in cui la mano di Dio ve lo concede e perciò io me
ne sto qui con tutta gioia, pronto a sopportare tutto quanto essa ha stabilito
di farmi subire» (n. 1179). In effetti la gioia spirituale e un’arma potente
contro Satana e i frati devono usarla, poiché, dice Francesco: «Il diavolo
esulta soprattutto, quando può rapire al servo di Dio il gaudio dello
spirito... I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo
vedono santamente giocondo» (n. 709). Oltre
alla letizia, Francesco usa altre armi per vincere il nemico, come la sapienza
del cuore che «confonde Satana e tutte le sue insidie», la penitenza del
corpo; la preghiera e il digiuno, soprattutto per certi tipi di demoni. Le
Fonti riportano anche molti episodi in cui Francesco ha de-bellato il
maligno che si era impossessato di creature umane o che le turbava fisicamente.
6.2.
Il peccato di Lucifero secondo Duns Scoto
La
teologia del francescano Giovanni Duns Scoto (ca. 1266- 1308), maestro a Oxford, rappresenta
1’ultimo sviluppo del principio francescano del primato dell’amore, tuttavia
porta con sé alcuni germi di dissolvimento dell’armonia scolastica tra
ragione e fede, tra la dimensione intellettiva e volitiva del pensare. Scoto può
essere considerato 1’iniziatore della corrente filosofico-teologica del «volontarismo»,
che insiste sulla infinita e assoluta volontà di Dio, la quale non può essere
compresa entro le categorie dell’intelligenza umana. Da tale impostazione
consegue che il primo peccato di
Lucifero non e stato quello di superbia, secondo l’opinione più comune, ma
propriamente un desiderio di concupiscenza, nel senso che ha bramato in modo
disordinato ed esagerato la propria beatitudine, cercando 1’amore di sé fino
all’odio contro Dio. Lucifero dunque non ha voluto direttamente
1’uguaglianza con Dio, il che sarebbe un peccato di orgoglio, ma ha desiderato
di ottenere diletto e compiacenza di sé, che è un peccato di godimento e di
autosoddisfazione. . Da qui la volontà di preminenza e di dominio sopra gli
altri, che costituisce la presunzione. Dunque l’amore di sé e la radice della
superbia e perciò «radix civitatis diaboli». Come si vede, Scoto riconduce
tutto alla potenza della volontà o dell’amore, anche il peccato di orgoglio,
che, secondo lui, non è un atto dell’intelletto, come se il presuntuoso
pensasse di essere più di quello che realmente è, ma e un peccato della volontà
che desidera disordinatamente il proprio bene, in misura maggiore del suo
essere. Da ciò segue 1’accecamento dell’intelletto. Scoto in seguito prende
in esame dettagliatamente la tentazione
dei progenitori, affermando che il diavolo, mosso da invidia per 1’uomo,
si avvicina alla donna, sapendola più debole e servendosene come mezzo per poi
sedurre 1’uomo. La tentazione diabolica si compone di tre elementi: uno
riguarda il cibo, cioè mangiare dell’albero, il secondo la somiglianza con
Dio, il terzo la conoscenza del bene e del male. Si tratta della tentazione
della gola, della vanagloria e dell’avarizia come desiderio di possedere in
modo disordinato, in questo caso ovviamente non il denaro, ma le altezze della
scienza che sorpassano le capacita umane. Perciò il diavolo in modo ingiusto
teneva legato a sé l’uomo, ma costui era giustamente soggiogato, non perché
il diavolo avesse conquistato il dominio sull’uomo, ma perché 1’uomo ha
meritato per la sua colpa di subire la tirannide del diavolo. Per questa ragione
Dio ha liberato 1’uomo dal potere di Satana con la giustizia compiuta dal
sangue di Cristo. Satana dunque rimane il grande accusato davanti a Dio,
all’uomo e a Cristo.
7.
LA SCUOLA DOMENICANA
La
novità più rilevante dei maestri domenicani consiste nell’inserire la
filosofia aristotelica nelle scuole di teologia Tommaso ha esplicitamente
dichiarato che il peccato angelico è stato quello di
superbia, precisando tuttavia che non si tratta del desiderio di essere
uguale a Dio, perché ciò non poteva corrispondere né all’intelletto né
alla volontà dell’angelo, in quanto ogni ente desidera la perfezione del
proprio essere, non quella di un altro; piuttosto si tratta della deliberazione
di non sottostare alla volontà superiore di Dio, volendo 1’angelo essere la
regola di se stesso, il che compete unicamente a Dio. Oppure egli ha desiderato
di essere simile a Dio, nel senso di portare in sé la somiglianza divina, e
questo certamente non è peccato; lo ha desiderato pero non secondo 1’ordine
stabilito da Dio per mezzo della grazia, ma con le forze della propria natura.
In altre parole l’angelo non ha accettato di accogliere il dono divino della
beatitudine soprannaturale, ma ha voluto ottenerlo da se stesso. E questo è un
vero peccato di superbia. Ora il peccato proprio della natura spirituale non sta
nell’inganno o nell’errore nei confronti del bene o del vero, come
nel1’uomo attraverso 1’ottenebramento dei sensi, ma nel rifiutare la
sottomissione al disegno superiore di Dio per attuare un progetto personale di
perfezione. Tommaso è il primo autore cristiano che in maniera esplicita e
radicale afferma la spiritualità piena dei demoni, nel senso che la loro natura
non è mista con elementi di ordine materiale neanche di materia leggera o
sottile. Ciò in coerenza al fatto che essi appartengono a pieno titolo al rango
degli esseri angelici. Questa affermazione costituisce una novità nella
riflessione demonologica dei pensatori cristiani: una novità che non venne
facilmente accolta. Ma per Tommaso la natura spirituale degli angeli, di cui i
demoni fanno parte, e inserita fra le creature, perché natura limitata e finita
nell’atto di essere e perciò creata da Dio. Tale posizione divenne poi
patrimonio comune a tutta la teologia.
7.1.
L’azione dei demoni nei corpi
Tommaso
accoglie l’idea che i demoni sono in
lotta contro gli uomini a causa della loro invidia e malizia, ma anche con
il permesso di Dio, il quale sa ordinare il male per ottenere beni maggiori. Le
tentazioni dunque rientrano nel piano sapiente di Dio. Egli precisa anche che
non tutti i peccati sono causati direttamente dal diavolo, poiché 1’uomo
possiede il libero arbitrio con cui può dominare le sue passioni o vi può
soccombere, prescindendo dalla tentazione demoniaca; ma indirettamente, a motivo
della prima tentazione inferta ai progenitori da cui derivano il peccato
originale e una certa inclinazione al male, il diavolo è causa di tutti i
nostri peccati. Tale causa non va mai intesa in senso totale e sufficiente, come
se 1’uomo fosse privato della sua libertà e responsabilità, ma solo
parzialmente, in forza di una certa persuasione o presentazione dilettevole
dell’oggetto desiderato. Il diavolo agisce solo esteriormente attraverso i
sensi della immaginazione. ma non può giungere nell’intimo dell’anima. come
invece fanno la grazia divina e lo Spirito Santo. . Circa
1’azione dei demoni sui corpi Tommaso, tenendo conto del1’ordine
gerarchico dell’universo, sostiene la tesi che le sostanze spirituali con la
propria forza non possono formalmente tramutare i corpi, entità inferiori, ma
si possono servire di altri corpi attivi, quali strumenti adeguati, per
influenzare i corpi. Tali azioni procedono dall’agente quale principio
intrinseco e proporzionato; ora il corpo assunto dal demonio o dall’angelo non
e principio intrinseco e proporzionato, ma solo strumento, per cui le azioni che
compie sono prodotte in modo manifestativo o similare, ma non in modo naturale.
Perciò il parlare, il mangiare o il generare dei demoni sono azioni non
propriamente naturali, ma soltanto simili a quelle naturali. Infine si pone la
questione se i demoni possano compiere
miracoli; a questo riguardo Tommaso risponde negativamente, perché il
miracolo in senso vero non lo può fare né il demonio né altra creatura, ma
solo Dio, in quanto esso va al di la dell’ordine di tutta la realtà creata.
Tuttavia si parla di miracolo in senso lato, come di qualcosa di meraviglioso
che sorpassa le facoltà umane; allora i demoni possono fare di queste
meraviglie, poiché possiedono una potenza superiore alle semplici capacita
umane. Tali portenti sono di due specie: una riguarda la trasmutazione dei
corpi, che costituisce un fatto reale;1’altra concerne l’illusione dei sensi
attraverso 1’immaginazione e rimane al di fuori della realtà. Le arti magiche
sono prodotte dai demoni precisamente sotto questa duplice modalità.
La
figura del diavolo resta presente nella letteratura volgare come si può vedere
nell’opera Vite dei Santi Padri di Domenico Cavalca. vissuto nel Trecento.
Egli descrive in modo assai vivace e pla-stico le azioni dei demoni contro gli
anacoreti, tra cui primeggia la personalità di Antonio. II racconto si conclude
con la sconfitta di Satana, che esclama sconsolato: «Ecco che, come dice la
Scrittura, la mia potenza e infermata, e perduta ho la signoria del mondo; ecco
li deserti medesimi sono pieni di monaci, li quali insieme si difendono contro
di me». Di fatto il Cavalca si fa portavoce di un comune convincimento che il
diavolo non ha potere sul mondo e sugli uomini, in quanto e stato incatenato da
Cristo. In un racconto di fra Filippo degli Agazzoni si costata in particolare
l’uso di fare il patto col diavolo: si legge d’un uomo che, per avere
denari, si dona al dia-volo, con la strana conseguenza di essere trascinato in
alto assieme al diavolo, che porta con sé 1’anima del malcapitato, lasciando
cadere a terra il corpo. Si tratta di drammatizzazioni popolari che non
provocano tanto la paura, quanto piuttosto 1’ilarità.
La visione di Tendale, la
quale influenzo Dante e le successive rappresentazioni artistiche e letterarie
di Lucifero, descrive minuziosamente i tormenti subiti dai dannati nell’abisso
infuocato di zolfo dell’inferno; offre due straordinarie pitture dei demoni
come bestie enormi, una delle quali superava in grandezza tutte le montagne
della terra, aveva occhi infuocati come carboni accesi, la bocca spalancata come
una voragine e il volto sfavillante una fiamma inestinguibile. Tundale vede
Lucifero, più grande di qualsiasi altra bestia con la forma di un corpo umano,
con la coda e molte mani, che giaceva prono su una griglia posta su carboni
accesi ed era legato con grosse catene di ferro e di bronzo ardente. Lo sviluppo
più notevole dell’immagine del diavolo si ebbe con la nascita della
poesia volgare del basso medioevo.
Con il poema di Dante Alighieri (1265- 1321) Satana assume un ruolo e un significato di grande rilievo. Nell’Inferno, la prima cantica della Divina Commedia, Dante fa intervenire i diavoli, ma il suo pensiero si concentra in modo particolarmente incisivo sulla figura di Lucifero, il principe dei demoni, che è chiamato anche Satana, Beelzebul e Dite. Egli è caduto dal cielo, ove era il primo degli angeli ed è precipitato sulla terra fino ad essere immerso al suo centro; li resta imprigionato e immobile. Nelle sue rare apparizioni, soprattutto nell’ultimo canto dell’Inferno, Lucifero è rappresentato in modo grossolano e ripugnante più che terrificante. Esso è privo di vera attività e di vitalità, è un essere vuoto, stupido e spregevole, un essere inutile e vano, in contrasto con la forza e la fecondità di Dio. In ciò Dante riprende la concezione filosofica tomista del male come negazione dell’essere, raffigurando il maligno quale contrapposizione negativa del bene. In effetti Satana si trova nelle tenebre, nel punto morto della terra, dove i peccati sono affondati nel luogo a loro connaturale. Man mano che si scende nell’inferno, ogni cerchio è colmo di peccati sempre più gravi e pesanti, fino all’ultimo, il cerchio dei traditori. Satana è posto al centro inerte con le natiche conficcate nel ghiaccio, dove non c’e segno di vita né di movimento. Tutto il peso del mondo e dei peccati gravita su di lui come ne fosse schiacciato. 1n tal modo Satana diventa il simbolo del nulla, quale negazione di vita, di verità e di amore; egli è chiuso e ripiegato nella pesantezza del proprio corpo grossolano, quale totale materializzazione dello spirito. Il nulla di Satana pervade la realtà infernale. Lo stagno ghiacciato che lo trattiene immobile è tanto gelato da scricchiolare: segno di morte e di freddo assoluto, espressione dello spirito che si e chiuso a Dio in antinomia con l’acqua viva e zampillante dell’amore divino. Il diavolo è imprigionato nella caverna senza luce della Giudecca, dove il buio è il simbolo della sua ottusità e irrazionalità, voluta e ricercata con il proprio peccato, in contrasto con la luce che inonda il cielo. II non essere di Satana si manifesta anche nella sua dimensione gigantesca come una massa enorme di materia inerte e pesante, in opposizione alla leggerezza dello spirito e dell’intelligenza. Egli è un verme, un mostro, un gigante impotente e debole, chiamato «lo ’mperador del doloroso regno » in opposizione a Dio «lo ’mperador che sempre regna». La bruttezza e goffaggine della sua figura, un tempo angelo di splendore, è in totale contrapposizione con la bellezza e l’armonia dell’essere divino. Egli è formato di tre facce con tre colori (giallo, nero e rosso) in contraffazione delle tre persone divine. Lucifero è visto come l’antitesi o l’antipodo di Dio, sebbene sia una sua creatura. Siccome Dio è per Dante il principio che crea le cose, l’amore che dona la vita, 1’intelligenza che governa sapiente- mente 1’universo, Satana, al contrario, è l’espressione della nullità, dell’inutilità, della menzogna; è la negazione dell’amore e della vita, è privo di fecondità e d’intelligenza. Per Dante Lucifero è semplicemente una «cosa bestiale», ripugnante e priva di senso; e ciò costituisce 1’intuizione razionalmente calcolata e teologicamente efficace della Divina Commedia.
Ringrazio don Renzo per questo suo secondo illuminante intervento. Molto altro materiale di studio, con apparato critico e amplissima bibliografia si può trovare nel testo di LAVATORI R., Satana, un caso serio, ed Dehoniane, Bologna 1995. Lì troverete non solo altri autori medievali, ma anche uno studio serio ed approfondito sulla demonologia cristiana. E' stato pubblicato due mesi fa anche un libro più piccolo, senza apparato critico, di carattere quindi più divulgativo: LAVATORI R., Il demonio tra ragione e fede, per la stessa casa editrice. I testi sono disponibili presso tutte le librerie cattoliche.
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