e la lotta tra ragione e fede.
Il dodicesimo
secolo rappresenta per l’Europa occidentale un periodo di sviluppo: sviluppo
politico ed economico, con il sorgere della civiltà comunale e l’aumento dei
rapporti commerciali con l’Oriente bizantino e musulmano. L’applicazione
dell’aratro asimmetrico porta ad un netto miglioramento delle rendite
agricole, mentre la fine della lotta per le investiture con il concordato di
Worms, scandisce un momento di tregua nelle lotte di potere tra Impero e Papato.
La Francia diventa il centro culturale dell’Europa, ed in particolare Parigi,
con lo spirito di ricerca razionale tipico del popolo franco, è senza dubbio il
cuore degli scontri intellettuali più intensi. Essi diventano difficili da
gestire in questo contesto storico, in quanto la materia dello scontro è la
fede cristiana.
Perciò lotte
e accuse di eresia, fughe e riprese, scontri fisici e verbali, riconciliazioni
ed interventi di vescovi ed abati in materia filosofica sono un po’ il pane
quotidiano di un secolo che prepara il grande periodo della Scolastica. In tal
senso il XII secolo è ricco di forti personalità, sia dalla parte
dell’impero, sia da quella del papato, sia in quello della spiritualità e
della ricerca teologica. Ed in questo ambito si inseriscono due figure
emblematiche del Medio evo, Pietro Abelardo e S. Bernardo di Chiaravalle.
Oggi,
sull’onda del razionalismo e del laicismo che ormai è nostro patrimonio
comune, si è molto rivalutata la figura di Pietro Abelardo, applicando però un
etichetta che non può essergli attribuita. Egli sarebbe cioè il primo
intellettuale cristiano che vuol razionalizzare la fede, e che usa la sola
ragione per risolvere problemi teologici. In particolare la sua opera più
famosa “Sic et non” sembra essere quasi un’anticipazione del
razionalismo cartesiano o dell’illuminismo di Voltaire. Ma così non si fa che
applicare una forma mentale che è nostra e che non fu del geniale bretone. In
una sua famosa lettera ad Eloisa egli confessa “La
logica mi ha reso odioso al mondo…ma io non voglio essere filosofo per oppormi
a Paolo, né essere un Aristotele per separarmi da Cristo”. Egli comunque
ha un grande senso di sé, è un combattente della ragione; in un’epoca di
cavalieri e di armi, di alta tecnologia militare, egli sviluppa l’alta
tecnologia della ragione, la logica. Con la forza della ragione e la grande
capacità di comunicare, egli ben presto diventa un maestro acclamato e
rifiutato al tempo stesso: una folla di studenti, affascinati dalle sue lezioni,
pagano profumatamente per frequentare le lezioni a Sainte Genevieve o alla
cattedra di teologia della scuola di Notre Dame, mentre le autorità
ecclesiastiche sono preoccupate per la sua capacità di mettere in luce la
”illogicità” della fede. “Credo
quia absurdum”, la celebre frase di Tertulliano diventa perciò la ragione
della fede secondo Abelardo. Sono questi gli anni tempestosi dell’amore per
Eloisa, giovane e bella allieva, per il cui Abelardo subirà una tragica
vendetta dei parenti. Una vita movimentata, quella di Abelardo, ma segnata dal
genio filosofico.
Vi confesso che, leggendo le opere di Abelardo, e la sua vita, come anche
la condanna del concilio di Sens portata a compimento per opera di S. Bernardo
di Chiaravalle, tutto ciò sembra molto distante. Oggi la filosofia o la
teologia entrano nella fede in maniera molto marginale: i cristiani sono
soprattutto persone impegnate nella preghiera, nel volontariato sociale, nelle
missioni. Se c’è una riflessione sulla fede, essa è di tipo psicologico, più
che filosofico. Ma all’epoca le questioni di concetto tenevano banco, ed una
in cui Abelardo intervenne fu quella del significato dei concetti universali.
Quando esprimo un concetto universale (il concetto di uomo p.es.) è reale o è
solo un nome convenzionale? Infatti io ho di fronte, in realtà, tante persone
diverse. Abelardo risponde con un concetto di tipo modale: i concetti e le
proposizioni non esprimono le cose, ma le relazioni tra esse, il modo in cui
sono collegate. Così io prendo dalla realtà dei singoli le nozioni generali,
che però di fatto esistono solo nella mia mente: è il concettualismo,
che caratterizza tutto il pensiero di Abelardo. Un po’ difficile, eh? Ma
l’opera per cui egli rimane famoso è il celebre Sic
et non (sì e no), in cui analizza 150 problemi teologici, mettendo vicino
ragioni a favore e contrarie, senza dare una soluzione. Egli si accorge che i
Padri, nell’esprimere il loro pensiero, si sono a volte contraddetti, anzi
queste contraddizioni sono presenti anche nel testo biblico. Dato per certo che
la parola di Dio è infallibile, pensa Abelardo, molto probabilmente gli
scrittori della Bibbia o i Padri della Chiesa, per non ripetere le stesse
parole, per questioni di contesti diversi o di situazioni diverse, hanno
espresso concetti che solo apparentemente sono contrastanti. Questo sistema di
analisi logica e filosofica verrà ripreso, ampliato e corretto da S. Tommaso
d’Aquino nelle sue Summae, fatte
appunto di quaestiones (domande) e
risposte, obiezioni e soluzioni. E’ un metodo rivoluzionario per l’epoca, in
quanto si vuol risolvere con la logica le contraddizioni apparenti presenti
nella tradizione dei Padri. Con Abelardo nasce quindi il concetto di contesto
letterario, di significato delle parole riferito ad autori diversi, e il metodo
del dubbio :”Dubitando arriviamo alla
ricerca, e cercando percepiamo la verità” (Sic te non, Prologo). Il fatto è che Abelardo, come anche S.
Anselmo, o Bernardo di Chartres, o Gilberto Porretano, o Roscellino, o Guglielmo
di Champeaux si trovano stretti fra la fede ed il desiderio di renderla
comprensibile agli studenti, senza avere gli strumenti filosofici per una
visione equilibrata, tra fede e ragione. Solo un secolo dopo, con la traduzione
dell’ Organon e degli scritti di
metafisica aristotelica si aprirà la grande epoca della Scolastica, con tutte
le sue conseguenze, positive e negative. Per cui la lotta che S. Bernardo di
Chiaravalle sostenne vittoriosamente contro Abelardo, con la condanna del Sinodo
di Sens (1140), non è affatto lo scontro tra oscurantismo religioso e
razionalismo laico e liberale, visione che appartiene all’Ottocento, non certo
al Medioevo. Tant’è che la ricerca delle ragioni della fede non si fermerà,
anzi porterà ancor più lontano. Ma Abelardo precorreva i tempi, quando egli
vuol discutere il principio dell’autorità,
veramente importante per il Medioevo, cioè
la trasmissione della verità di fede attraverso i secoli. Qui egli si
era accorto che c’erano contraddizioni nelle affermazioni dei teologi
cristiani e dei Padri, contraddizioni apparenti, s’intende, che egli presenta
nel Sic et non; il suo errore è però
quello di non risolverle, mettendo così in crisi il concetto importantissimo di
tradizione, che nell’ambito della
fede non è il tradizionalismo, ma significa la trasmissione
della verità di fede in Cristo per ispirazione dello Spirito Santo. Egli
attribuisce all’autorità il ruolo di guida a coloro che non sanno rendere
ragione della propria fede: “Intanto,
finché la ragione rimane nascosta, basti l’autorità e si mantenga
l’importantissimo e notissimo principio della forza dell’autorità” (
Theol. Christ. III). Ma la ragione ha un suo ruolo importante “Tutti
sappiamo che non è necessario il giudizio dell’autorità in quelle cose che
possono essere discusse con la ragione” ( ibid.). Notiamo comunque che
egli titola la sua opera più famosa Sic et non (Sì e no), e non Sic
aut non ( Sì o no). Quindi la sua intenzione non è quella di portarsi sul
piano della logica pura; la fede gioca ancora un ruolo fondamentale, ma la
ragione in lui si chiede come risolvere le contraddizioni testuali.
“Abelardo
aveva uno spirito lucido e un cuore generoso. La rivelazione cristiana non è
stata mai per lui la barriera insormontabile che divide gli eletti dai dannati e
la verità dall’errore. Abelardo conosce i passaggi segreti dall’una
all’altra e gli piace credere che gli antichi (filosofi) ch’egli ama
li abbiano già trovati.Egli stesso passa dalla fede alla ragione con una
candida audacia di cui Guglielmo di San Teodorico e san Bernardo di Chiaravalle
hanno avvertito troppo vivamente le conseguenze per potergliela perdonare”
(Etienne Gilson, La filosofia nel Medio evo, La Nuova Italia,
giugno 2000, p. 353).
Certo il suo nominalismo moderato e la sua spinta razionalista lo porterà
alla condanna, quando egli vuol rovesciare il rapporto fede – ragione in
favore di quest’ultima. Molti quindi sono i suoi errori teologici ( il
modalismo trinitario, la necessità della Creazione, la riduzione del peccato
alla sola intenzione e non anche all’azione, la pretesa di usare la sola
ratio per affrontare testi biblici o patristici che attestano anzi tutto un
cammino spirituale, non certo un teorema filosofico). S. Bernardo di
Chiaravalle, con i suoi scritti sui gradi di umiltà e con la sua forza di
combattente spirituale, avrà, in questo contesto storico, la vittoria sul
filosofo, che alla fine morirà lontano da Parigi e dalla sua amatissima Eloisa.
Abelardo esprime però un’istanza, che verrà positivamente accolta da Pietro
Lombardo, con il suo famosissimo Liber Sententiarum, e dai teologi
scolastici del secolo successivo. Il metodo del dubbio risuona infatti
pienamente nelle due Summae di S. Tommaso d’Aquino. Ormai però i
concetti di ente ed essenza, di sostanza e accidente, di potenza ed atto,
indicheranno la via più
equilibrata per quella sete di sapere
che, in Abelardo, rimane senza risposta, senza dei punti di riferimento certi.
Lo spirito della ricerca razionale nel campo della fede quindi rimarrà in lui
insoddisfatto, o con risposte ancora incerte e unilaterali. Ma Pietro Abelardo
apre una via, una breccia nell’eccessivo fideismo o nel moralismo che guarda
solo alla forma esteriore. Un secolo dopo questa via, da lui aperta in mezzo ad
una vita sofferta e travagliata, vedrà finalmente la sua meta.
CRONOLOGIA
-
1079 Nasce Pietro Abelardo a Le Palais,
da una nobile famiglia di cavalieri. Studia presso la scuola di Roscellino;
-
1100 Segue le lezioni di Guglielmo di
Champeaux, ma si trova subito in opposizione al maestro;
-
1102 Scrive le Glosse letterali e
fonda la sua prima scuola di logica
a Sainte – Genevieve;
-
1117 Scoppia la passione per Eloisa;
-
1118-19 Dopo la nascita del figlio
Astrolabio, i due amanti si sposano in segreto. Scatta la vendetta della
famiglia di lei, e Abelardo viene evirato da sicari di Fulberto, zio di Eloisa.
Lei si fa monaca al monastero di Argenteuil;
-
1120Abelardo si ritira nell’abbazia
di Saint Denis, dove scrive il trattato sull’unità e Trinità di Dio,
condannato al Concilio di Soissons;
-
1121-1123 Stesura del Sic et non.
Fondazione del monastero del Paracleto, nella Champagne;
-
1129 Eloisa diventa badessa al
Paracleto;
-
1132 Abelardo scrive la Historia
calamitatum mearum;
-
1134-35 Corrispondenza con Eloisa: le Lettere
;
-
1135-40 Abelardo torna ad insegnare a
Parigi, e scrive l’Introduzione alla teologia; ha come allievi Giovanni
di Salisbury ed Arnaldo da Brescia; polemica con Bernardo di Chiaravalle;
-
1140 Condanna di Abelardo al sinodo di
Sens, le sue opere vengono bruciate. Abelardo decide di partire per Roma ed
appellarsi al papa.
-
1141 Pietro il Venerabile convince
Abelardo, ormai anziano e malato, a fermarsi a Cluny. Qui morirà l’anno
successivo. Il suo corpo verrà trasportato al Paracleto, per volere di Eloisa;
-
1164 Muore Eloisa. I due amanti vengono
sepolti uno accanto all’altro.
Fonte
Il Prologo del "Sic et non"
tratto dalla Patrologia Latina
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